1997 – Regolamento degli archivi ecclesiastici italiani

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REGOLAMENTO DEGLI
ARCHIVI ECCLESIASTICI ITALIANI

Proposto dalla Conferenza Episcopale Italiana
ai Vescovi diocesani

Di un regolamento per gli archivi ecclesiastici d’Italia si cominciò a parlare nel XV convegno degli archivisti ecclesiastici di Loreto (16-19 ottobre 1984, sul tema “Problemi giuridici degli Archivi Ecclesiastici”) che seguiva la promulgazione del Codice di Diritto Canonico (1983) e la firma dell’Accordo di modifica del Concordato fra la S. Sede e l’ltalia (18 febbraio 1984).

Precisamente, fu mons. Aldo Caserta dell’Archivio diocesano di Napoli, ad esprimere”il voto che l’Associazione elaborasse un regolamento tipo per l’accesso e la consultazione degli archivi secondo il can.491 § 3, da sottoporre all’approvazione della C.E.I.” (Archiva Ecclesiae, 28-29, 1985-1986, p.17).
Del resto, già nel 1976 la Conferenza Episcopale Spagnola aveva approvato un regolamento del genere e nel giugno 1980 lo aveva fatto la Conferenza Episcopale Francese. E non pochi Vescovi italiani, già negli anni ’70, avevano dato delle norme per la gestione degli archivi delle loro Curie e di quegli archivi storici diocesani che si andavano organizzando.
La nostra Associazione, ben presto, raccolse un certo numero di questi regolamenti diocesani pubblicati in Italia, sicchè nel seguente XVI convegno degli archivisti ecclesiastici di Roma (6-9 ottobre 1987) vennero approfonditi vari problemi riguardanti le “strutture, titolari e personale degli Archivi Ecclesiastici” (Cf. Archiva Ecclesiae, 30-31,1987-1988, pp.18-130). Tre anni dopo, nel XVII convegno di Roma (16-19 ottobre 1990) il dr. Piergiorgio Figini, dell’Archivio storico diocesano di Milano, presentò un primo testo di regolamento alla specifica tavola rotonda su Archivi fruizione: riproduzione, consultazione, regolamento, coordinata dal vicepresidente dell’Associazione, don Salvatore Palese, e dopo il dibattito si concluse di “continuare ad approfondire ulteriormente e dibattere tra i soci dell’Associazione una bozza di regolamento unitario per gli archivi ecclesiastici” (Archiva Ecclesiae, 34,35, 1991-1992, p.18).
Fu organizzata, quindi, nel dicembre seguente una commissione specifica composta da p. Emanuele Boaga, direttore dell’Archivio storico generale dei Carmelitani di Roma, il suddetto dr. Figini, il prof. Luciano Osbat delI’Università degli studi di Viterbo, don Adolfo Longhitano, archivista del Capitolo della Cattedrale di Catania, don Giancarlo Manzoli, cancelliere della Curia vescovile di Mantova, don Gaetano Zito, direttore dell’Archivio storico diocesano di Catania, coordinata dal vicepresidente dell’Associazione, don Salvatore Palese. Il lavoro della commissione confluì nel testo redatto dai soci Longhitano e Zito, nel corso del 1991. Nella riunione del 1 giugno 1992, il Consiglio direttivo dell’Associazione lo esaminò, corresse ed approvò, decidendo poi di trasmetterlo al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Rimanevano, però, irrisolte due questioni: la data di consultabilità degli archivi e la sorte degli archivi personali dei vescovi, in seguito al loro trasferirmento ad altra sede o alla loro morte (Cf. Verbale della riunione e Archiva Ecclesiae, 38-39, 1995-1996, p. 268).
Il testo del regolamento fu presentato all’assemblea dei soci durante il XVIII convegno degli archivisti ecclesiastici di Napoli (5-8 ottobre 1993, sul tema “Gestione degli archivi ecclesiastici: aspetti, problemi, indirizzi attuali”), dal vicepresidente don Salvatore Palese, il 7 ottobre 1993. Si indicava ai presenti come detto regolamento colmava il vuoto normativo lamentato da più parti e precisamente integrava in senso tecnico le norme date dal Codice di Diritto Canonico in materia di documentazione e di archivi dipendenti dai Vescovi delle Chiese locali. In attesa delle decisioni della C.E.I., fu specificato: “Ogni Vescovo ha diritto di emanare norme per gli archivi ecclesiastici sottoposti alla sua giurisdizione ed è augurabile che si agisca in modo similare a quanto indicato da detto regolamento che risulta pure adattabile secondo le necessità, agli archivi degli Istituti religiosi” (Ivi, p. 17).
Esaminato dall’Ufficio nazionale per i problemi giuridici ed approvato nella rispettiva Commissione Episcopale, il Consiglio Episcopale permanente della C.E.I., nella sessione del 27-30 marzo 1995 approvò il regolamento come schema tipo da offrire ai Vescovi diocesani, perchè provvedessero a promulgarlo, debitamente adattato alle rispettive realtà locali.
Frattanto erano in corso i lavori della Commissione paritetica per l’intesa attuativa dell’art. 12 del “nuovo” concordato del 1984 ed anche in quella sede si trattò del regolamento degli archivi appartenenti ad enti ecclesiastici. Il 13 settembre 1995 il presidente della C.E.I., card. Camillo Ruini, e il Ministro dei beni culturali, on. Walter Veltroni, firmarono l’Intesa in otto articoli, di orientamento generale.
Successivamente, da parte della C.E.I., tramite lo specifico Ufficio dei beni culturali, sviluppava un programma di contributi di cui hanno beneficiato e continuano a beneficiare pure gli archivi ecclesiastici.
Poi, il 2 febbraio 1997, la Pontificia Commissione dei beni culturali ecclesiastici ha pubblicato una lettera circolare su La funzione pastorale degli archivi ecclesiastici.
Infine, concordata la data di consultabilità delle carte ivi conservate, anteriori agli ultimi 70 anni, con possibilità di concessioni particolari anche prima della scadenza stabilita, il regolamento è stato pubblicato sul Notiziario della conferenza Episcopale Italiana, del 5 novembre 1997 (n. 8, pp. 227-237 ).
Comé viene avvertito, il presente schema tipo nasce “dall’esigenza di unificare e integrare la legislazione canonica in un testo organico di natura regolamentare, volto ad assicurare alla Chiesa nel sistema organizzativo italiano un’autonoma organizzazione legislativa armonizzata con le leggi dello Stato italiano” (Ivi, p. 227)Si fa notare, inoltre, che “non sono previste norme particolari per gli archivi minori, come quelli parrocchiali, in quanto l’estrema varietà delle Situazioni avrebbe in ogni caso costretto i Vescovi diocesani all’emanazione di norme applicative supplementari. Spetta dunque ai Vescovi colmare questa Lacuna” (Ivi).Infine, questo regolamento tipo può essere vantaggioso per gli archivi dei religiosi, nella più vasta e articolata accezione. Spetta ai rispettivi superiori maggiori provvedere alla sua promulgazione con gli adattamenti necessari alla particolare organizzazione di ciascuno di essi.Il regolamento consta di un premio e di 47 articoli distribuiti in 4 titoli riguardanti i principi generali e la tipologia degli archivi (artt. 1-4), il loro ordinamento interno (artt. 5-33), la consultazione (artt. 34-36), una disposizione finale (art. 47).Come è evidente la parte più consistente riguarda l’ordinamento interno degli archivi. Le norme articolate in quattro capitoli, si riferiscono all’acquisizione dei documenti (artt. 5-9), alla confluenza di archivi diversi (artt. 10-13), al personale (artt. 14-15), alla classificazione e all’ordinamento dei documenti (artt. 16-19), agli strumenti di lavoro e di ricerca (artt. 20-26), alla riproduzione dei documenti (art. 27), ai servizi (artt 28-30), infine allo scarto (artt. 31-33). .Negli articoli di questo secondo titolo è facile vedere recepiti gli orientamenti moderni dell’esperienza e della cultura archivistica: c’è da attendersi un ulteriore sviluppo nella tenuta degli archivi ecclesiastici
Del resto, le norme che i Vescovi promulgheranno per le loro Chiese locali incentiveranno la valorizzazione della documentazione conservata negli archivi ecclesiastici delle loro diocesi, che molto spesso sono i più antichi esistenti. La consultazione, favorita e “concessa con ampia libertà” (art. 34), contribuirà agli sviluppi della ricerca storica.Ma non vi è dubbio che il regolamento è semplicemente uno strumento. Esso sarà utilissimo nella misura in cui gli archivi ecclesiastici saranno “affidati a persone qualificate” (art. 14), capaci non soltanto di provvedere alla efficace gestione degli archivi, ma anche di fare di essi, “tabernacoli della memoria”, dei centri di cultura storica, utili per la missione della Chiesa tra gli uomini e per lo sviluppo della cultura storica delle popolazioni.Lo afferma esplicitamente il proemio: “La Chiesa Cattolica, responsabile principale, in quanto proprietaria nelle sue istituzioni e nei suoi enti, di questo immenso patrimonio storico prodotto nei secoli dai suoi organi, è cosciente del dovere che ha di custodirlo e metterlo a disposizione degli studiosi”.E in questo senso è significativa la disposizione finale in cui si raccomanda che “gli archivisti abbiano cura di instaurare con le Sovrintendenze e gli Archivi di Stato, un cordiale rapporto di collaborazione” (art. 47). Quasi a dire che gli archivi ecclesiastici, come beni, sono destinati a produrre cultura e a contribuire, se valorizzati adeguatamente, alle migliori prospettive di progresso integrale degli italiani.E’ quanto l’Associazione Archivistica Ecclesiastica auspica vivamente.
Vincenzo Monachino
Salvatore Palese
Emanuele Boaga
SCHEMA-TIPO DI REGOLAMENTO DEGLI ARCHIVI ECCLESIASTICI ITALIANI
PROEMIO

La natura e la missione della Chiesa di essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano” (LG, I) e al tempo stesso parte integrante della società si riflette necessariamente sugli Archivi ecclesiastici, che custodiscono testimonianze eloquenti del suo essere e del suo operare.In essi è documentato il compito specifico della Chiesa di edificare il Regno di Dio (GS, 40) e anche il suo impegno per costruire, assieme agli uomini di buona volontà, una società più rispettosa dell’uomo e dei suoi valori. In tal senso Paolo VI ricordava che attraverso la Chiesa “è il Cristo che opera nel tempo e che scrive, proprio lui, la sua storia, sì che i nostri brani di carta sono echi e vestigia di questo passaggio del Signore Gesù nel mondo” (Discorso del 26 settembre 1963).La duplice rilevanza che gli archivi ecclesiastici hanno per la Chiesa e per la società fa assumere alla documentazione in essi custodita il significato di un patrimonio di primaria importanza per la storia religiosa e civile. La Chiesa Cattolica, responsabile principale, in quanto proprietaria nelle sue istituzioni e nei suoi enti, di questo immenso patrimonio storico prodotto nei secoli dai suoi organi, è cosciente del dovere che ha di custodirlo e metterlo a disposizione degli studiosi.
TITOLO IPRINCIPI GENERALI E TIPOLOGIA DEGLI ARCHIVI

Art. 1
L’archivio ecclesiastico è la raccolta ordinata e sistematica di atti e di documenti prodotti e ricevuti da enti pubblici ecclesiastici eretti nell’ordinamento canonico (cf. carm. 486, par. 2; 491, par. 2; 535, parr. 4-5; 173, par. 4; 1283, par. 3°; 1284, par. 2, 9°; 1306, par. 2) o da persone esercitanti nella Chiesa una funzione pubblica.

Art. 2
L’archivio nasce e si sviluppa a servizio della persona o dell’ente che lo produce. Di regola solo l’archivio storico (cf. can. 491, par. 2), in quanto bene culturale, diventa accessibile agli studiosi, secondo le norme emanate dalle competenti autorità (cf. can. 491, par. 3).

Art. 3
Il presente regolamento si prefigge di integrare le norme contenute nel Codice di diritto canonico e quelle emanate dalle competentí autorità in materia di archivi ecclesiastici nel rispetto delle norme concordatarie.

Art. 4
§1. Esso ha come oggetto specifico gli archivi pubblici dipendenti dall’autorità del vescovo – della curia o diocesano, del capitolo cattedrale, delle parrocchie, del seminario, delle confraternite, delle associazioni, ecc. – (cf. can. 491, par. 1), ma intende offrirsi come riferimento per gli archivi di tutti gli altri enti pubblici o privati, formalmente eretti o che di fatto vivono ed operano all’interno della Chiesa (ordini e congregazioni religiose, associazioni, gruppi, movimenti…).
§ 2. Quando un ufficio ecclesiastico si rende vacante si distinguano opportunamente le carte personali del titolare dai documenti d’ufficio e si usi ogni cautela perché si garantisca la confluenza almeno di questi ultimi nei relativi archivi ecclesiastici
TITOLO II
ORDINAMENTO INTERNO DEGLI ARCHIVI
CAPITOLO I
Acquisizione dei documenti

Art. 5
Nella gestione archivistica di un atto si distinguono le seguenti fasi: archivio corrente, archivio di deposito temporaneo, archivio storico.Archivio corrente e archivio di deposito temporaneo possono essere unificati, creando due sezioni distinte.

Art. 6
Nella fase iniziale gli atti sono prodotti dai singoli organi o uffici con criteri e metodi dettati dalle rispettive esigenze ad normam juris e collocati nell’archivio corrente.In vista di una maggiore funzionalità ed economia, è opportuno stabilire una collaborazione fra l’archivista e i responsabili dei singoli organi o uffici per uniformare la redazione degli atti e l’impiego del materiale.

Art. 7
L’archivio di deposito temporaneo, destinato a contenere le pratiche ormai chiuse, può essere unico per tutti gli organi o uffici.

Art. 8
§1. Il deposito nell’archivio storico costituisce la fase finale della vita di un atto. In linea di principio un atto entra a far parte dell’archivio storico quando ha esaurito la sua funzione specifica e ha superato il limite convenzionale alla consultabilità (70 anni).
§ 2. Ouando non è possibile avere un archivio di deposito temporaneo idoneo, gli atti possono essere versati nell’archivio storico anche prima del limite stabilito, ma devono restare riservati.

Art. 9
Il passaggio dei documenti dall’archivio corrente a quello di deposito temporaneo e a quello storico sia registrato in apposito libro, nel quale si descriva l’elenco dei fondi e sia indicato il periodo storico riguardante la documentazione consegnata dai vari uftici. 
CAPITOLO II
Confluenza di archivi diversi

Art. 10
Secondo il principio generale dell’ordinamento canonico, proprietario e responsabile dell’archivio è l’ente ecclesiastico che lo ha prodotto (cf. Pontificia Commissione Archivi Ecclesiastici d’Italia, Istruzione, 5.12.1960, n. 3).

Art. 11
È possibiIe collocare in deposito temporaneo o permanente presso l’archivio diocesano l’archivio di altri enti ecclesiastici nel caso in cui l’autorità ecclesiastica competente lo ritenga necessario per motivi di sicurezza o per facilitare la consultazione degli studiosi (cf. Istruzione, cit., n. 3). In tali casi si rediga un verbale di consegna, avente in allegato un dettagliato inventario del materiale consegnato, e in cui risulti che proprietario dell’archivio resta sempre l’ente che lo ha prodotto. Si raccomanda vivamente alle associazioni, ai gruppi informali, ai movimenti e ai fedeli che svolgono particolari mansioni nella Chiesa di non disperdere i loro archivi, ma di disporre che confluiscano nell’archivio diocesano.

Art. 12
Gli archivi degli enti di cui per qualunque motivo vengono a cessare le attività, quando non esistano disposizioni in contrario passano in custodia e in amministrazione dell’ente superiore, che ne avrà cura come del proprio (cf. Istruziorne, cit., n. 5).

Art. 13
Gli archivi in deposito devono conservare sempre la loro individualità e integrità. Le loro serie non dovranno essere mescolate a quelle dell’archivio ricevente, né tanto meno a quelle di altri archivi in deposito.
CAPITOLO III
Il persorlale degli archivi

Art. 14
L’archivio diocesano e quelli dei principali enti pubblici ecclesiastici siano affidati a persone qualificate, che si serviranno di collaboratori per la custodia, la vigilanza e le altre mansioni a livello esecutivo
(cf. Istruzione, cit., n. 6). Là dove si ritiene opportuno e se ne riconosce una qualificata preparazione, è possibile usufruire della collaborazione di personale volontario .

Art. 15
§ 1. È opportuno che in ogni diocesi si istituisca un delegato episcopale per gli archivi con il compito di vigilare perché l’ingente patrimonio culturale custodito negli archivi soggetti alla giurisdizione del Vescovo non si disperda e venga opportunamente valorizzato.
§ 2. Il delegato per svolgere il suo compito visiti periodicamente gli archivi (specialmente in occasione della visita pastorale), verificando lo stato di conservazione dei documenti e la eventuale necessità di restauro o di trasferimento.
CAPITOLO IV
Classificazione e ordinamento

Art. 16
I documenti conservati nell’archivio siano ordinati secondo una opportuna classificazione, che rispetti la natura dei fondi e la progressione dei documenti nel tempo. A tal fine è necessario adottare un titolario, in base al quale ordinare la documentazione esistente (cf. can. 486, parr. 2-3; can. 491, par. 2).

Art. 17
§ 1. Il titolario deve essere predisposto d’intesa fra l’archivista e i responsabili degli uffici, secondo le regole dell’archivistica e nel rispetto della natura dell’ente, del suo ordinamento interno, delle sue attività, secondo quanto stabilito all’art. 6 del presente regolamento.
§ 2. Lo stesso titolario sia adoperato in tutte le fasi della gestione archivistica in modo da facilitare il trasferimento dei documenti e le ricerche (cf. Istruzione, cit., n. 8).

Art. 18
Se in un archivio storico si trovano tracce di un precedente ordinamento, si evitino dannosi stravolgimenti, limitandosi ad opportune integrazioni. Il titolario, una volta predisposto, deve avere una certa stabilità onde evitare continui cambiamenti, che si rifletterebbero negativamente sulla classificazione e la ricerca.

Art. 19
Particolare importanza nel lavoro di ordinamento e conservazione del materiale archivistico sia attribuita dall’archivista al restauro dei documenti che lo richiedano. Effettuato il restauro, i documenti siano conservati in condizioni ambientali adatte.
CAPITOLO V
Strumenti di lavoro e ricerca

Art. 20
In base al titolario ogni archivista avrà cura, completando la classificazione dei documenti, di compilare l’inventario o cataogo per agevolare la ricerca (can. 486, par. 3).

Art. 21
Copia degli inventari o cataloghi di tutti gli archivi soggetti alla giurisdizione del Vescovo deve essere conservata nell’archivio diocesano (cf. can. 486, par. 3).

Art. 22
All’inventario o catalogo di un archivio possono essere utilmente aggiunti indici per materia o per temi specifici, repertori e altri strumenti, che l’archivista riconoscerà utili per facilitare la consultazione e la ricerca.

Art. 23
ogni possibile cura ci si adoperi perché siano distinti nei locali dell’archivio la sala di studio, le sale di deposito, la direzione e i laboratori per il personale e le riproduzioni. Si eviti di adibire la sala di studio anche come sala di deposito, soprattutto se la documentazione è sistemata in scaffali aperti ed accessibili al pubblico.

Art. 24
Negli archivi principali non dovrà mancare una piccola biblioteca, contenente un repertorio essenziale di fonti, dizionari, enciclopedie, storia della Chiesa, volumi di storia locale e quant’altro può essere utile sia al personale dell’archivio sia alle ricerche degli studiosi.

Art. 25
Agli inventari o cataloghi di cui all’art. 20, nonché agli indici, repertori ed altri strumenti di cui all’art. 22 e alla biblioteca, abbiano libero accesso i ricercatori.

Art. 26
Gli archivisti prendano in seria considerazione il ricorso agli strumenti di classificazione e di ricerca offerti dall’informatica. A tal fine è opportuno prendere accordi con gli altri uffici dell’ente per la scelta dei computers e dei programmi e consultarsi con altri archivi che hanno compiuto tale scelta.
CAPITOLO VI
Riproduzione

Art. 27
§1. In ogni diocesi si crei un archivio di microfilms o di dischi ottici per integrare la documentazione esistente con fonti di altri archivi che riguardano i luoghi, gli enti e le persone alle quali l’archivio stesso è interessato.
§ 2. In questa sezione possono essere raccolti anche i microfilms o i dischi ottici relativi ai fondi principali dell’archivio, che potranno essere utilizzati per evitare che il continuo uso dei documenti porti al loro deterioramento, per la loro ricostruzione in caso di distruzione degli originali e per facilitare la ricerca e la riproduzione.

CAPITOLO VII
Servízi

Art. 28
Onde proteggere la preziosa documentazione conservata, non manchino in ogni archivio: sistemi di allarme e di antincendio, l’impianto elettrico di sicurezza e, là dove si rendono necessari, deumidificatori con regolatori di temperatura.

Art. 29
Al fine di preservare il materiale più prezioso si installi una cassaforte oppure armadi di sicurezza.

Art. 30
Periodicamente si curi di operare la disinfestazione degli ambienti dell’archivio e della stessa documentazione, servendosi di ditte specializzate
CAPITOLO VIII
Scarto

Art. 31
Nessuno, qualunque sia la mansione che svolge nella Chiesa, si permetta di distruggere, vendere o disperdere documenti relativi alla vita del proprio ufficio, dell’ente affidato alla propria cura o conservati negli archivi (cf. Istruzione, cit., n. 4).

Art. 32
Come regola generale si conservi nell’archivio storico tutta la documentazione che dall’archivio corrente o da quello di deposito temporaneo viene versata nell’ archivio storico.
È consentito agli organi che li hanno prodotti di conservare in copia gli atti che si ritenessero piu’ utili o necessari per l’attività corrente.

Art. 33
Nei casi in cui si ritiene opportuno procedere allo scarto archivistico è necessario tenere presenti le seguenti norme onde evitare la perdita irrimediabile di documentazione:
a) l’archivista, d’accordo con i responsabili dei singoli uffici, compia una preventiva valutazione e una scelta da sottomettere all’approvazione dell’Ordinario diocesano; di norma sono esclusi dallo scarto i documenti di data anteriore ai cento anni (cf. Istruzione, cit., n. 9);
b) l’eliminazione immediata riguarda tutti i documenti relativi al foro interno. I documenti riguardanti le cause criminali in materia di costumi, “se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, siano eliminati ogni anno, conservando un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva” (can. 489, par. 2);
c) criteri particolari stabiliti tra l’archivista e i titolari degli uffici diano ulteriori precisazioni sulla singola categoria di documenti da scartare;
d) ogni qual volta si procede allo scarto di documenti non riguardanti il foro interno se ne faccia annotazione nel registro di cui all’art. 9.
TITOLO III
CONSULTAZIONE

Art. 34

La consultazione degli archivi a scopo di studio sia concessa con ampia libertà, pur adottando le necessarie cautele sia nell’ammissione degli studiosi sia nella consegna dei documenti (cf. Istruzione, cit., n. t 2).

Art. 35
L’apertura al pubblico dell’archivio storico sia regolata da opportune norme emanate dalla competente autorità ecclesiastica (cf. can. 491, par. 3).

Art. 36
Lo studioso può essere ammesso alla consultazione dell’archivio dopo aver presentato una regolare domanda su modulo prestampato, nel quale siano indicati i fondi che intende consultare, i motivi della ricerca ed esplicitamente sia dichiarato il suo impegno a far pervenire all’archivio un esemplare della pubblicazione effettuata utilizzando la ricerca nell’archivio. Nell’atto di ammissione lo studioso sia informato del regolamento e degli obblighi a lui derivanti sin dall’inizio della sua frequentazione dell’archivio. Lo studioso è tenuto ad apporre giornalmente la firma ed altre eventuali indicazioni (indirizzo, nazionalità, ecc.) in un apposito registro di presenza .

Art. 37
L’ammissione degli studiosi alla consultazione, che dovrà essere in ogni modo facilitata, è comunque riservata al responsabile dell’archivio, il quale valuterà le richieste sulla base dei requisiti del richiedente. La consultazione può essere negata, quando vi siano pericoli per la conservazione dei documenti (cf. Istruzione, cit., n. 12).

Art. 38
§ 1. Possono essere consultati solo i documenti anteriori agli ultimi 70 anni.
§ 2. La consultazione di documenti definiti come riservati o relativi a situazioni private di persone può concedersi solo su previa ed esplicita autorizzazione da parte dell’Ordinario, apposta sulla domanda presentata dal richiedente.
§ 3. La consultazione di altri documenti può concedersi anche prima della scadenza dei termini suindicati alle condizioni di cui al paragrafo precedente.

Art. 39
Gli studenti di scuola media superiore e universitari possono essere ammessi alla consultazione solo se presentati dal professore che guida la ricerca.

Art. 40
La consultazione sia disciplinata da orari costanti e regolari. Eventuali sospensioni del servizio siano segnalate per tempo.

Art. 41
Durante la consultazione sia sempre presente l’archivista o persona di sua fiducia, in modo che i ricercatori non vengano lasciati soli con i documenti.

Art. 42
Non si consenta agli studiosi né l’accesso alle sale di deposito dell’archivio, né il prelievo diretto dei documenti dalla loro collocazione.

Art. 43
Ai frequentatori dell’archivio potrà essere revocato l’accesso nel caso in cui avessero dimostrato di non tenere in sufficiente cura i documenti loro dati in consultazione.

Art. 44
Per nessun motivo sia permesso di portare i documenti fuori dalla sede dell’archivio. Solo l’autorità competente può autorizzare la concessione di documenti dell’archivio per mostre e simili, con le opportune cautele di natura giuridica ed assicurativa (cf. can. 488)

Art. 45
La riproduzione fotostatica o fotografica e la microfilmatura dovranno essere autorizzate dall’archivista su apposita richiesta e dopo essersi assicurato dello stato di conservazione dei documenti. La riproduzione awenga esclusivamente nella sede dell’archivio, fatto salvo il rimborso delle spese e, se del caso, iI risarcimento dei danni a carico di chi ha richiesto la riproduzione.

Art. 46
Nonostante il principio generale di facilitare l’accesso alla documentazione per mezzo di microfilms, fotocopie o fotografie, non è consentito riprodurre interi fondi dell’archivio (cf. Istruzione, cit., n. 13) 
TITOLO IV
DISPOSIZIONI FINALI

Art. 47
Pur conservando la loro autonomia, gli archivisti ecclesiastici abbiano cura di instaurare con le Sovrintendenze e gli Archivi di Stato un cordiale rapporto di collaborazione.
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